Restyling

20:52





Dopo un tempo indicibile, mi ritrovo a scrivere parole in un blog. Lo stesso blog che avevo creato anni or sono, ma di cui non rimane null’altro che una persona (io) e un url (sichiamamondo: ci sono affezionata). Tutto il resto, puff, sparito nel nulla: puzzava di vecchio.
Ma chi è che scrive? Farò gli onori di casa e mi presenterò. Però, se mai dovessero esserci lettori di passaggio, vi chiedo la cortesia di essere clementi: odio presentarmi e, quel che è peggio, il rischio di fare la figura della sfigata è sempre spaventosamente alto. Forse perché è quello che sono, ma poco importa: proseguiamo. Mi chiamo Lucia, ho (quasi) ventiquattro anni e studio alla Scuola Superiore di Lingue Moderne e blablabla. Da grande vorrei diventare, ahimè, nientepopodimeno che traduttrice. Capite ora il perché della sfigata? Nell’epoca di Google Traduttore, vado a scegliermi proprio un mestiere che nemmeno Barbara D’Urso ritiene degno di stipendio... Mettiamoci pure che la poverina non sa nemmeno la differenza tra interprete e traduttore – quindi forse è un parere da non tenere in considerazione – però che oggigiorno sia un mestiere complicato, sottopagato e mistrattato, è certamente fuori discussione. Ma d’altronde quale non lo è? Facciamo che chiudo qui la parentesi sul mondo del lavoro, altrimenti rischio di aprire una voragine e scrivere fiumi di parole fin dal primo post e non sarebbe cosa buona.

Torniamo al succo del discorso: questo blog. Partiamo dal titolo. So già che sembra un titolo da bamboccetta quindicenne – e siete liberi di pensarlo (senza dirlo a mia sorella, che quindicenne lo è per davvero: vi ucciderebbe) – ma ha un suo perché. Dovete sapere che nella famosa SSLMIT di cui sopra, ho compagni di corso che definire svitati è un eufemismo e, un bel giorno, ho condiviso con loro una mattinata di delirio, in cui abbiamo cominciato a mettere giù ‘una lista di titoli per possibili saggi o lavori accademici’. Demenziali. All’ennesima potenza, aggiungerei. Al termine dei lavori, con una novantina di titoli all’attivo, ma nemmeno un’opera accademica scritta, abbiamo deciso che l’intera, fantomatica raccolta dovesse a sua volta essere coronata da un titolo. Bravi: proprio ‘Squarci di vita attraverso kose (a cazzo)’. Siccome mi considero una persona fine, ho deciso di censurare la parentesi e tenermi solo la parte bimbominkiosa del titolo. Ché il presente blog altro non sarà che uno spaccato della mia quotidianità, raccontato attraverso cose, persone, eventi, fotografie, viaggi, luoghi, ironia, consigli, canzoni, film, libri, video. Quindi non lamentatevi poi se sarà noioso/orribile/pesante/illeggibile: siete stati avvisati.

Prometto che sto arrivando alla fine. Solo un’ultima considerazione.

Durante i miei quotidiani viaggi in treno, ultimamente sto leggendo un libro di Paola Mastrocola (“Togliamo il disturbo”, sottotitolo: “Saggio sulla libertà di non studiare”), rubacchiato a mio padre, che se lo teneva a prender polvere sul comodino. È grazie a questa lettura, oserei dire, che mi è tornata l’ispirazione per un blog. Ho alle spalle parecchi anni di studi, prevalentemente umanistici, e sono ben consapevole dell’importanza della scrittura. Scrivere sta alla base della conoscenza di una lingua e anche del mestiere che ho scelto di fare, solo uno sciocco non lo ammetterebbe. Eppure non mi sono mai disturbata a scrivere tanto fino ad ora. Leggo molto, questo sì, ma poi quando si tratta di metter nero su bianco, mi tiro quasi sempre indietro. Sono pigra, ecco la scusa ufficiale. Bene, da oggi voglio buttare nella spazzatura quest’esile scusa e provare a raccontare e raccontarmi. Quindi non mi importa se questo blog resterà per sempre sconosciuto alla totalità del web, quello che conta è che diventi per me compagno di vita quotidiana. Svago, sfogo, esercizio. Se poi, passando, doveste trovare interessante o utile ciò che scrivo, siete invitati a rimanere o, quantomeno, a tornare a farmi visita: la porta è sempre aperta!

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