Cronache notturne di una mamma incapace
15:32
Hai presente quando ti capita di leggere qualcosa che trovi più o meno casualmente in giro per il web - o da qualsiasi altra parte - e che ti sembra parlare proprio di te, raccontare come ti senti, descrivere un episodio che è accaduto a te, identico, spiccicato? Ecco, a me non capita quasi mai. Forse perché cerco nei posti sbagliati, forse perché semplicemente mi stanco di leggere alla terza riga (e qui, se sei come me, hai già lasciato questo blog. Amen.). Allora penso che toccherà a me scrivere qualche pensiero che poi, quando mi ricapiterà di leggerlo in futuro, mi faccia dire "Oh sì, ricordo, proprio come quella volta...", oppure "Ecco, questa sono io". Qualcosa che parli di me e della mia famiglia, che è poi parte di me. La migliore.
Bene, da dove comincio? Senza troppi giri di parole, la notte scorsa è stata un incubo. No, forse è un po' troppo granitico come incipit. Meglio qualcosa tipo...:
Essere mamma ha i suoi aspetti positivi, che se inizio a elencarli penso mi potrei fermare solo al compimento della maggiore età del mio attuale unico pargolo. Ma c'è anche qualche nota dolente. Piccola piccola, quasi insignificante, che però in certi momenti può sembrare un ostacolo insormontabile e sempre, inevitabilmente, molto al di là delle proprie capacità. Una di queste sono le notti in bianco. Soprattutto per una mamma - a caso - che ha sempre dormito come un ghiro prima di dare alla luce il suo primogenito e che se non fa almeno quelle 7-8 ore di fila a notte, poi non capisce niente per un giorno e mezzo.
Ora, è pur vero che il Padreterno ci ha davvero pensate bene bene e anche il corpo e le sue necessità fisiologiche, nel tempo, si adattano ai nuovi ritmi imposti dal nano di turno, ma ciò non vuol dire che il tutto accada senza qualche difficoltà. Sono trascorsi ormai 11, bellissimi mesi dalla nascita di Michele, e devo dire che persino un ghiro come me è riuscito - più o meno - ad adattarsi al nuovo trend notturno che prevede in media un paio di risvegli a notte (quando va male anche 3 o 4). Da circa un mese non allatto più durante il giorno, ma solo la sera e durante la notte, appunto. All'inizio non è stato facile perché, ovviamente, Michele è ancora molto affezionato più che alla madre, alla sua tetta (come tutti i maschi, del resto). Ora però si è rassegnato al nuovo stile di vita da bimbo "grande", e non la cerca neanche più di tanto. Ma di notte, guai a chi gliela tocca.
Per questo motivo, stanotte erano da poco passate le 2.00 quando mi accorgo che Andrea, come al solito, mi sta portando Michele a letto perché evidentemente si è svegliato e io non l'ho sentito (quando dormo sul serio, non sentirei manco le cannonate). Ma il problema non è stato lì. Il problema è stato quando, circa mezz'ora dopo, ho tentato di rimettere il piccoletto al suo posto, nel lettino. Non è stato bello. I tentativi (da parte di entrambi) hanno dato esito positivo sì e no due ore dopo. In quelle due ore, il delirio. Ho anche pianto. È sciocco, lo so, ma quando vedo che, nonostante tutti gli sforzi, il linguaggio di mio figlio che continua a piangere mi rimane del tutto incomprensibile, mi lascio prendere dallo sconforto. Sembrano capricci, perché il volume delle grida aumenta vertiginosamente non appena lo si appoggia nel lettino, mentre diminuisce fino (quasi) a sparire del tutto una volta ripreso in braccio. Però se non fossero capricci? Se stesse male? Che madre sono se non riesco a capire queste cose? Se non ascolto davvero i pianti del mio bambino? Se metto il mio bisogno di dormire davanti alle sue necessità? Se, se, se...
Di notte, quando giro per casa fino a sbattere contro gli stipiti delle porte, perché mi sto addormentando lì, con mio figlio in braccio ancora sveglio, le penso tutte. Lì, quel piccolo ostacolo di qualche minuto (o ora) di sonno perduto sembra il peggior male del mondo. E credo sempre di non farcela. Ma soprattutto, penso di non meritare proprio una sorte simile: "Perché i figli degli altri dormono e il mio deve fare così?", "Dopo tutti questi mesi, non ho/abbiamo il diritto di dormire tranquilli, almeno per una notte?"... E via così, in una spirale di autocommiserazione del tutto sterile - e ridicola -, anche se in quel momento non lo capisco e mi sembra di avere tutte le ragioni del mondo per lamentarmi.
Poi succede che mi arrendo e concedo al piccolo urlatore di tettare di nuovo, per tranquillizzarsi e - magari - riaddormentarsi meglio. Infatti quello smette di singhiozzare e, con calma (molta calma), si riaddormenta. Nel frattempo, durante un breve e silenzioso pianto di sfogo, mi sorge spontanea una preghiera: "Ti ringrazio, Signore, perché i nostri problemi sono questi qui".
Stamattina appena sveglia ho ripensato a quella preghiera, appena appena abbozzata, nel cuore della notte, mentre desideravo solo dormire. Mi ha stupito molto. E sono sicura che quelle parole mi sono state suggerite da Qualcuno, perché in quelle condizioni - mio marito può testimoniare - se le parole ce le avessi messe io, probabilmente mi sarebbe uscita l'ennesima lamentela assurda. Una preghiera di supplica, forse, non di ringraziamento. Invece, piangendo, ho ringraziato. Come se Dio avesse in qualche modo cercato di porre l'accento sulla relatività di quell'ostacolo che fino a pochi attimi prima mi pareva insormontabile. Come se volesse farmi cambiare prospettiva e ricordarmi che abbiamo una vita meravigliosa, una famiglia e amici splendidi, quando c'è chi è solo. Che stiamo bene, quando c'è chi lotta contro la malattia. Che la domenica possiamo andare a Messa tranquilli, quando c'è chi viene perseguitato ancora oggi solo perché Cristiano. Che viviamo in pace e a casa nostra, quando c'è chi è costretto a lasciarsi dietro tutto per fuggire da un conflitto senza ragioni. Ecco, davanti a tutto questo, mi rendo conto che davvero abbiamo molto di cui ringraziare.
Alcune notti in bianco: un ostacolo insormontabile, o un problema grande quanto un granello di polvere?
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Dio di misericordia e Padre di tutti, destaci dal sonno dell’indifferenza, apri i nostri occhi alle loro sofferenze e liberaci dall'insensibilità, frutto del benessere mondano e del ripiegamento su sé stessi.
(Papa Francesco)
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